sabato 26 marzo 2016

Del meglio e del bene...





La pigrizia si manifesta nei modi più vari. Sono sempre stata svelta e impaziente di vedere finiti i miei pezzi, perché poi l’ispirazione passa e a quel punto non sai dove vuoi andare. Aggredire le cose è stata sempre la mia prassi per evadere le pratiche. Perché in realtà conosco i miei limiti e so bene che la pigrizia mi seduce da sempre. Rimanere a letto fino a tardi, gustare la lettura di un giornale con molta calma, riflettere prima di agire e prefigurarmi un progetto. Sono solo alcune delle nostre “colpe”, quelle che non ci possiamo più permettere, che ci porteranno ad essere tacciati di indolenza, in netto contrasto con l’efficienza. 

Ci sono esperienze che ti plasmano e tu non sei più lo stesso, per me è stato l’accostarmi e l’aderire a vari standard durante la mia vita professionale, ovvero l’altra vita, quella che ora non c’è, ma che mi ha lasciato un bagaglio che ogni giorno della mia vita cerco di alleggerire, per non prenderlo più troppo sul serio. Una delle prime cose che ho imparato è che “il meglio è nemico del bene” e “si lavora sempre in parallelo”. L’ho imparato sulla mia pelle e trasposto nella mia attività creativa, senza rendermi conto che corro in modo angosciato anche in mancanza di una scadenza, unicamente per non sentirmi pigra. Ma la nostra mente non è progettata per questo, è invece progettata per tollerare e gestire i vuoti, che sono poi gli unici momenti in cui la linfa si rigenera. 

La spinta a rifare tutto come prima, come l’avrei fatto dieci anni fa, è inaspettatamente arrivata con una scadenza e un bellissimo progetto che ho accarezzato senza prenderlo troppo sul serio, il che lo sta trasformando in una grande fonte di divertimento che non ha nulla di agonistico. Del progetto non si parla ancora, ma mi servivano dei pezzi e li ho costruiti con grandissima attenzione. Con calma, gustandomi ogni passo del percorso, ovvero l’accogliere uno standard estetico totalmente fuori da quello che ho già fatto, la lenta costruzione di un oggetto che fosse perfetto in ogni sua parte, la scoperta di ritrovarmi totalmente senza materiale, la scelta ragionata di colori e accostamenti, prove ed errori, le pietre che non sono più disponibili e il girocollo che non posso lasciarlo morbido sennò mi si scopre l’ossatura metallica, le connessioni che fino all’ultimo non sapevo decidere come farle.
E dopo sei ore di manodopera in svariati momenti separati, eccola qui. La prova che non devo avere paura di sentirmi indolente se non finisco subito, a Milano si dice “se non quaglio”. Questa patina onice così brillante seppur nera la sto amando follemente e la metterei dappertutto, anche se devo aspettare che asciughi, devo limare con pazienza per non graffiare, anche se per questo pezzo ha richiesto un’imperlinatura infinita in pendant. Mi sono ripresa inconsapevolmente un pezzo di me stessa che cercavo da un po’, quello che pensa che il meglio sia meglio solo se lo fai bene.

L’ importante non è finire, è la consapevolezza del sentiero che scegli per arrivare.








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