La pigrizia si manifesta nei modi
più vari. Sono sempre stata svelta e impaziente di vedere finiti i miei pezzi, perché
poi l’ispirazione passa e a quel punto non sai dove vuoi andare. Aggredire le
cose è stata sempre la mia prassi per evadere le pratiche. Perché in realtà
conosco i miei limiti e so bene che la pigrizia mi seduce da sempre. Rimanere a
letto fino a tardi, gustare la lettura di un giornale con molta calma,
riflettere prima di agire e prefigurarmi un progetto. Sono solo alcune delle
nostre “colpe”, quelle che non ci possiamo più permettere, che ci porteranno ad
essere tacciati di indolenza, in netto contrasto con l’efficienza.
Ci sono esperienze che ti
plasmano e tu non sei più lo stesso, per me è stato l’accostarmi e l’aderire a
vari standard durante la mia vita professionale, ovvero l’altra vita, quella
che ora non c’è, ma che mi ha lasciato un bagaglio che ogni giorno della mia
vita cerco di alleggerire, per non prenderlo più troppo sul serio. Una delle
prime cose che ho imparato è che “il meglio è nemico del bene” e “si lavora
sempre in parallelo”. L’ho imparato sulla mia pelle e trasposto nella mia
attività creativa, senza rendermi conto che corro in modo angosciato anche in
mancanza di una scadenza, unicamente per non sentirmi pigra. Ma la nostra mente
non è progettata per questo, è invece progettata per tollerare e gestire i
vuoti, che sono poi gli unici momenti in cui la linfa si rigenera.
La spinta a rifare tutto come
prima, come l’avrei fatto dieci anni fa, è inaspettatamente arrivata con una
scadenza e un bellissimo progetto che ho accarezzato senza prenderlo troppo sul
serio, il che lo sta trasformando in una grande fonte di divertimento che non
ha nulla di agonistico. Del progetto non si parla ancora, ma mi servivano dei
pezzi e li ho costruiti con grandissima attenzione. Con calma, gustandomi ogni
passo del percorso, ovvero l’accogliere uno standard estetico totalmente fuori
da quello che ho già fatto, la lenta costruzione di un oggetto che fosse
perfetto in ogni sua parte, la scoperta di ritrovarmi totalmente senza
materiale, la scelta ragionata di colori e accostamenti, prove ed errori, le
pietre che non sono più disponibili e il girocollo che non posso lasciarlo
morbido sennò mi si scopre l’ossatura metallica, le connessioni che fino all’ultimo
non sapevo decidere come farle.
E dopo sei ore di manodopera in
svariati momenti separati, eccola qui. La prova che non devo avere paura di sentirmi
indolente se non finisco subito, a Milano si dice “se non quaglio”. Questa patina
onice così brillante seppur nera la sto amando follemente e la metterei
dappertutto, anche se devo aspettare che asciughi, devo limare con pazienza per
non graffiare, anche se per questo pezzo ha richiesto un’imperlinatura infinita
in pendant. Mi sono ripresa inconsapevolmente un pezzo di me stessa che cercavo
da un po’, quello che pensa che il meglio sia meglio solo se lo fai bene.
L’ importante non è finire, è la
consapevolezza del sentiero che scegli per arrivare.